Librini #1 - I miei stupidi intenti
la newsletter sui libri che dura il tempo di un cappuccino
Ciao tu e benvenuto/a al primo tentativo di questa newsletter!
Sono molto emozionata :)
Prima di tuffarmi a bomba nel vivo del libro che ho scelto per la prima uscita della newsletter, ti indico brevemente cosa troverai in ordine sparso nelle "righe" che seguiranno.
In forma di testo:
Titolo
Autore
Editore
Numero di pagine
Prezzo
La mia attesissima ed irrinunciabile nonché per nulla esaustiva mini recensione
Espressioni, frasi o brani che mi sono piaciuti e potrebbero strabiliare anche te
In immagini:
La foto un po' bellina della copertina e una banalissima della quarta di copertina, del retro
La seconda e la terza di copertina, ovvero l'aletta anteriore e quella posteriore
La prima pagina, per poter leggere l'incipit e valutare l'impaginazione
Dediche e/o citazioni iniziali scritte bene e degne di nota
Il libro in mano, per saggiarne l'ingombro
Bene, cominciamo.
L'anno è iniziato da qualche mese e svariati romanzi sono già trascorsi con le mie settimane, ma pensando a quale titolo scegliere per inaugurare questa newsletter e - sono certa - far breccia nel tuo cuore, non potevo che partire da lui: I miei stupidi intenti del giovane Bernardo Zannoni, classe 1995, che con quest'esordio si è (giustamente) aggiudicato il Premio Campiello 2022.
Non penso che mi sarei mai avvicinata a un testo simile se non fosse che ad avermelo consigliato è stata Donatella Di Pietrantonio in persona, che ho avuto la fortuna di conoscere all'International Book Festival di Budapest lo scorso ottobre, dove è venuta per presentare la traduzione in ungherese del suo famosissimo (e consigliatissimo) L'Arminuta (Premio Campiello 2017, fra l'altro). Tra le mille domande con le quali l'avevo sommersa, poveretta, una determinante era stata: "Ma tu, che sei (e scrivi come) Donatella Di Pietrantonio, che cosa diavolo leggi?" e fra i titoli da lei menzionati m'era rimasto impresso proprio questo, per due motivi essenziali: il fatto che fosse il premiato esordio di un romanziere decisamente giovane e l'originale idea di un racconto narrato dal punto di vista di una faina. Che voglio dire: neanche un cane, un gatto o un cavallo, insomma un animale un po' più conosciuto, bensì una bestiola del bosco che non è detto uno abbia neanche ben presente come sia fatta o quali caratteristiche abbia. Eccomi.
Bene, si tratta di un romanzo pazzesco, di una forza e un'asciuttezza rare. Doloroso e inesorabile come sa essere la natura, duro e scomodo. Che dunque si legge con un filo d'angoscia in pochissimo tempo. Un romanzo di formazione fra i più intensi che mi vengano in mente.
Il lettore resta per tutto il libro quasi spaesato, non foss'altro per via del punto di vista animalesco già di per sé un po' straniante. Sospinto in là nella storia, fra crudeltà vissute e inflitte dal protagonista, alcune tenerezze e molta precarietà, ondeggia tra la pena per lui e la recriminazione di certi suoi atti.
Archy, questo il nome della faina che accompagniamo dall'inizio alla fine della sua vita narrata in prima persona, è indifeso come un anello debole nella catena alimentare ciononostante è spietato come un animale affamato, infreddolito, in perenne minaccia di pericolo. Ma pensa come un essere umano, racconta, legge, si corica nel letto, prepara la cena, si pone domande ed è intelligente. È forse per questo che non si riesce mai a perdonarlo fino in fondo; eppure non lo si può condannare. Gli si può solo restare incollati addosso, con sospetto, per 243 speciali pagine che meritano davvero di essere lette. E forse rilette.
Insomma, un romanzo da urlo: veloce, secco, determinante, imperdibile, assoluto, che con una scrittura puntualissima apre mondi giganteschi e mette a confronto le leggi della natura e quelle dell'uomo, senza dare l'idea che una possa prevalere sull'altra. È proprio questa la più intima grande forza del romanzo: tutto è descritto e narrato così com'è (o come potrebbe essere se davvero una faina sapesse scrivere la sua storia) senza commenti né giudizi. Quando chiudi il libro non sei più lo stesso, non sai perché; ti senti svuotato? E anche violato. Può darsi perché alle domande non seguono risposte se non altre domande, e resti orfano di questo personaggio sapendo che non poteva che andare così: avrebbe abbandonato anche te, com'è sua natura.







Ho sottolineato...
p. 20
Nostro fratello Otis era rimasto rachitico, con le zampe che non lo reggevano. Riusciva a stento a risalire sul letto, non poteva allontanarsi da solo. Nessuno gli prestava attenzione, esisteva per non esserci, all'ombra delle nostre vite. Quando si mangiava guardavamo tutti il suo piatto.
«Morirò perché non cresco», disse una sera, durante il pasto.
Ci eravamo fermati per un attimo, anche nostra madre.
«Chi te l'ha detto?», fece lei.
«Nessuno. Lo so. Non mi hai cresciuto, mamma».
Due lacrime gli scesero dal muso scarno.«È vero», disse lei. Poi riprese, e noi pure. Nessuno però gli tolse il piatto.
p. 101
Per molte notti dormimmo tutti insieme sotto lo stesso tetto. Mi piaceva. C'era una grande forza in questo: una lotta silenziosa contro i malumori del cielo, contro Dio.
p.153
«Non voglio, basta, non voglio!».
Staccò il muso dal mio petto, mi piantò addosso i suoi occhi infuocati, pieni di terrore e disperazione, che sopraffecero i miei. In quello sguardo c'era più vita che in un cucciolo; si dibatteva nelle pupille, illuminava le lacrime, si aggrappava a qualsiasi cosa pur di restare ancora un attimo, anche il più nullo o insignificante. Mi scaraventò dentro di sé con la forza di un temporale, afferrò ogni mio segreto, ogni emozione provata, senza trovare resistenza; mi prese e mi portò con lui, dove stava andando, in Paradiso, o da nessuna parte.
Poi ci separammo. Le pupille gli si fecero vuote, allentò la presa sul mio pelo, rallentò il suo respiro.
«Ti prego», disse ancora, e furono le sue ultime parole; ricadde a letto, leggero, si fermarono le lacrime. Il suo ventre ebbe un piccolo sussulto, poi si abbassò senza più risalire. Questi furono gli ultimi istanti di Solomon l'usuraio.
Alla fine, salvato o meno, non se n'era andato con un sorriso, non aveva pregato Dio, ma chi gli era accanto al letto, sperando di rialzarsi, come un animale. Forse è questo che la morte ci insegna, per chi sa del suo arrivo: quell'attimo più buio è un percorso solitario, nei meandri di se stessi, dove ogni cosa sparisce, e si tenta di riacciuffarla. È l'anima di questo mondo, la sua forma più grande; nessuno chiede di nascere, ma nemmeno di andare via.
I miei stupidi intenti
Bernardo Zannoni
Sellerio
243 pp.
16 euro