Buona Epifania che tutte le Feste si porta via.
E vorrei anche dire: finalmente! Giacché Dante e io siamo rimasti a casa a fare il solco sul divano mentre l’altra metà della famiglia ha fatto il possibile per godersi le Festività in un altro Paese che sarebbe stato anche a noi derelitti destinato, eppur negatoci dalla bronchiolite che ha dunque reso inservibili svariati biglietti di treni e aerei. Questo il riassunto della puntata precedente.
La cosa che ho immaginato di più durante queste settimane di “vacanza” sono state le voci metalliche in aeroporto risuonanti i nostri nomi invano. Ultima chiamata. Ultima chiamata. Roba che solo a immaginare di perdere un volo viene giustamente la tachicardia. Io invece: serena. A fare il solco sul divano. Ne ho persi quattro; più un paio di treni. Irrilevante.
E mentre tutti andavano alle Maldive, poi! Il mio Instagram pieno di Maldive quest'anno.
L’altra cosa su cui ho rimuginato di più mentre solcavo e risolcavo il divano è stata Che gran peccato per i giri in libreria e per le verdure verdi. Infatti, senza che me ne vogliano amici e parenti che avrei incontrato con piacere, ciò di cui davvero sento molto la mancanza sono proprio certe belle incursioni in libreria, a rifarmi gli occhi, svuotare il cervello, respirare carta, desiderare di leggere tutto; nonché nutrire il mio corpo di verdure a foglia verde come spinaci, bieta, cicoria et similia, ortaggi sconosciuti lungo il Danubio, amico più che altro dei tuberi.
Pazienza.
La parola del mese; dell’anno. Di sempre.
Seguimi per altre storie tristi.
A onor del vero, la faccenda non è stata poi così drammatica come la si potrebbe immaginare. In molti ci hanno deliziato di leccornie e regalucci; non ho dovuto cucinare un gran che; rifare il letto quasi mai. Ho scoperto che, abituata a occuparmi di un neonato più tre-enne più marito, sembrava quasi di essere tornata single a dovermi occupare da sola “solo” di un neonato da solo.
Ho avuto persino tempo per ricordarmi che nel 2024 potrei ritrovare lo slancio per occuparmi pure un po' di me e dunque ho redatto una lista di buoni propositi e/o abitudini per l'anno nuovo. Perché, no, a me non mette l'ansia stilarne una; più che altro è constatare al giorno numero tre che la costanza profusa e la routine benefica instaurata s'è già infranta a causa dei più svariati motivi (malanni, miei o della prole; imprevisti; incazzature; frustrazioni; richieste esterne; segni del cielo e che altro ne so).
O sono solo scuse?
Poiché, da sempre, per me l'anno nuovo davvero comincia solo dopo il mio compleanno, rimanderò tutto oltre il 10 p.v. e intanto scaldo i motori, compilo le liste, affilo le matite che depenneranno ogni compito portato gloriosamente a termine e mi preparo psicologicamente per avviarmi felice verso la nuova migliore versione di me stessa. Almeno sino alla prossima crisi azzuriana e/o notte insonne dantesca.
Nel frattempo ripasso la regola dei 21 giorni (pare ci vadano 21 giorni per imprimere un cambiamento e introiettare una buona abitudine) e mi compiaccio del fatto che l'anno sia ben cominciato e noi si sia qui insieme a sorseggiare un cappuccino davanti a un Librini uscito, sempre alquanto incredibilmente, oggi dalla calza della Befana.
Adesso le novità.
Ti avevo promesso meraviglie per l’anno nuovo. Ed ecco che la prima è in arrivo per questo mese di Gennaio per chi si trovasse a Budapest: giovedì 25 gennaio alle 17:30 ci incontreremo nella splendida sede della Biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura per il primo incontro del Club del Libro dell’IIC che condurrò personalmente parlando del romanzo cui sarà dedicata la prossima puntata di Librini. Tadàààà!
Se vuoi partecipare, scrivi alla Biblioteca e scopri con quale romanzo partiremo (no spoiler qui) e come prenderlo in prestito in versione digitale e cartacea.
Ti ricordo infine che da qualche settimana Librini ha un profilo su Buy me a coffee, così se ti va puoi offrirmi un cappuccino. Non ne berrò mai abbastanza!
In calce trovi i link per invitare i tuoi amici a iscriversi gratis e per girovagare a ritroso nelle puntate precedenti.
Ed ecco cosa troverai in ordine sparso nelle "righe" che seguiranno:
In formato di testo:
Titolo
Autore
Editore
Numero di pagine
Prezzo
La mia attesissima ed irrinunciabile nonché per nulla esaustiva mini recensione
Espressioni, frasi o brani che mi sono piaciuti e potrebbero strabiliare anche te
In immagini:
La foto un po' bellina della copertina e una banalissima della quarta di copertina, del retro
La seconda e la terza di copertina, ovvero l'aletta anteriore e quella posteriore
La prima pagina, per poter leggere l'incipit e valutare l'impaginazione
Dediche e/o citazioni iniziali scritte bene e degne di nota
Il libro in mano, per saggiarne l'ingombro.
Come da mia fissa, inizio l'anno con un'opera prima, il romanzo Bestie della scrittrice americana Dizz Tate. Nome teatralissimo, mi pare: non poteva che fare il botto; con questa splendida copertina di Neri Pozza, poi, e la conturbante traduzione di Annalisa Di Liddo. Un bel libro che risucchia e invischia per pochi veloci giorni lasciando addosso un senso di scombussolamento che non si sa bene se sia perché ti è piaciuto o ti ha più che altro turbato.
Nel mio caso, entrambe.
In questa storia pruriginosa e crudele si muove un nugoletto di adolescenti lasciate pericolosamente a badare a se stesse a fingersi gruppo per farsi coraggio, a cantare in coro per poter esprimere l'indicibile. Hazel, Jody, Britney, Leila sono solo alcune delle protagoniste dai nomi eterei che all'unisono continuamente acclamano con sicurezza, urlandolo, ciò che desiderano essere: una massa decisamente informe eppure compatta, compiuta trincea, che chiamano "noi".
Ai capitoli in cui quel pronome onnisciente, grazioso e bestiale, sgomita fiero per prendersi il mondo, l'autrice ne affianca altri che lasciano spazio alla narrazione individuale; sono voci di donne ormai cresciute, a un certo punto della propria esistenza separatesi dalle altre, ognuna a schiantarsi sulla propria strada.
Il contesto non è dei più evoluti: un fazzoletto maleodorante di Florida che si affaccia su un laghetto nero, vischioso e immobile. Intorno sterpaglie; una casa campione, osceno nido per l'amore di tutti; edifici senz'anima con piscine troppo piccole perché il materassino dondoli desiderabile da un bordo all'altro.
Il sogno e i destini sono già evidentemente infranti nelle contingenze.
Un muro bianco, una scala. Pochi elementi descritti molto nettamente intrappolano l'immaginazione del lettore in un luogo malsano e poco amichevole in cui le ragazze vanno in giro scalze senza paura dei formicai, anch'esse Bestie impietose riguardo il pigolio di uccellini rimasti orfani e che diventano il pasto dei gatti; cattive con le lucertole cui strappano code che conservano come trofei.
Le pagine sono disseminate di racconti di giochi crudeli per ridere fino a sentire le mascelle tirare di un riso finto che maschera la sensazione di non potersi comunque fidare. Il gruppo può dire cose che altrimenti sarebbero indicibili ma l'individuo che solo è tremendamente insicuro e perduto non può confessare niente. Si è amiche per la pelle, con il timore che basti pochissimo per mandare tutto in frantumi.
Non si fa caso neppure alle madri; soprattutto alle madri. Queste ne escono malissimo: sono esseri fragili, sciocchi, vacui e mutevoli come canne al vento; spesso ubriache, umiliate da omuncoli pervertiti che non si sono sapute scegliere; distratte. Da odiare. Tutte. Loro che chiamano quel "noi" Bestie.
Plurali, le madri così come le sorelline; e i padri, gli uomini sono tutte entità vaghissime ma negative e ingombranti che necessariamente sembrano doversi sopportare in questo mondo meschino.
Si diventa bestie per cose stupide o terribili, senza saper distinguere le une dalle altre. Un giorno angeli e il giorno dopo i peggiori diavoli, mai del tutto innocenti, colpevoli eppure sempre un po' d'assolvere; senza pudore, quest'adolescenza solitaria e costretta a un luogo insalubre e senza stimoli, dove solo i rami di un baniano che immagino splendido e ricco sembrano promettere rifugio e serenità.
Un romanzo scritto benissimo, che manda avanti la storia e mantiene la suspense per tutti quelli che hanno bisogno di una trama che tenga incollati alle pagine. A me personalmente Dizz Tate potrebbe raccontare come sbatte l'uovo per fare la frittata e la leggerei incantata e grata ugualmente. Descrive un mondo terribile e meschino con una franchezza invidiabile. Lo sa fare con carattere ed eleganza anche quando rasenta l'eccessivo; fendente che quasi quasi fa male. Un prosare poetico, crudo, diretto e potente come sanno esserlo le cose sincere dette bene, a volte senza mezzi termini.
Specie, mi sono messa paura ogni qual volta emergono in tutta la loro solenne inadeguatezza i pensieri propri dell'adolescenza, detti come sono, grazie a quest’ammaliante sincerità.
È possibile che l'adolescenza si auto-smascheri oppure tocca per forza arrivare alla maturità per provare quel misto di compassione e vergogna per ciò che si è stato poco prima di sbocciare?
Da quando sono madre, simili pensieri mi sconquassano.
Non sono più io una delle giovani della copertina, la ragazzaccia, la fanciulla ribelle della questione, perché ho una figlia che tra non molto — mi basterà girarmi un attimo — sarà un'adolescente ingestibile pronta a trattarmi come "noi" trattano le madri in questo romanzo. Quanto è concreto il rischio di diventare come "le madri"? La trasformazione è già cominciata? Anche insinuando domande del genere, Dizz Tate, faccino d'angelo, tratteggia un mondo che è un piccolo incubo.
Le creature di questa storia sono spesso incomprensibili, detestabili, inarrivabili, irragionevoli; madide nelle loro paure e leggere nei loro sbagli.
Eppure, leggendole, categorica come una folata improvvisa di vento torna tutta la giovinezza a riprendersi il posto usurpatole dalla maturità, che non è giunta di colpo ma s'è fatta largo fra le pieghe ammonticchiate dagli anni. È in quest’epifania che incalza il timore dell'ormai compiuto distacco dall'adolescenza e dai suoi perché, una volta per tutte. Un per sempre che rischia di allontanare irrimediabilmente il ricordo di com'era stato ballare a perdifiato e correre, inciampare mille volte, tornare a casa stremata e leggera, talmente tanto da sentirmi disperatamente e piacevolmente vuota. Sudata. Asfissiata dalla vita che ancora non era arrivata e a me già sembrava troppa da sopportare.






Ho sottolineato…
p. 11
Sono proprio innocenti, le nostre madri.
Non sanno niente dei nostri attaccamenti feroci, di quello che covano i nostri cuori.p. 14
Ci vestivamo con cura. Vogliamo mostrarci al meglio, ma senza che la gente si accorga del nostro sforzo. Vogliamo avere un aspetto pigro e favoloso e innocente. I nostri letti soffocano sotto ai mucchi di vestiti scartati.
p. 19
Vediamo bocche, bocche, sempre più bocche che masticano tramezzini farciti di pollo all'arancia, di tacchino e maionese, oppure i mini brownie freddi di frigo. La saliva schiuma tra le labbra, i semi deflagrano in esplosioni simultanee dalle fette di pomodoro. Vene di grasso si staccano e dondolano, ciuffetti di lattuga penzolano flosci. Macchie misteriose si annidano tra denti grossi e bianchi.
Ci guardiamo a vicenda. «Niente» fa Leila. «Non sanno niente».
«Come sempre» commenta Britney, e questa volta ridiamo tutte.p. 26
Eravamo di quell'umore per cui niente dà soddisfazione: ogni felicità conteneva in sé il suo stesso sfacelo, come quando stiamo per fracassare un bicchiere.p. 29
Nascondevamo le nostre facce perché eravamo certe che un giorno qualcun altro le avrebbe scoperte per noi, spingendoci le ciocche dietro alle orecchie per dirci quanto eravamo belle, quanto lo eravamo sempre state, in segreto.
[...]
Eravamo intelligenti. Leggevamo la Bibbia e le fiabe e guardavamo il telegiornale, e le nostre madri non ci avevano cresciute da stupide. Sapevamo che al mondo le cose bisognava sudarsele. Sapevamo che l'amore richiedeva una certa pratica e avevamo giurato di dedicargli il tempo necessario; sapevamo che la metamorfosi implicava pericolo e, con ogni probabilità, dolore.p. 35
Cosa cercavano di dire al mondo, ma soprattutto a noi? Prendevamo i flaconcini dagli scaffali e ci dipingevamo le unghie alla luce fluorescente dei bagni prima di rimetterli a posto. Allargavamo le dita sulle gambe e rimanevamo ad ammirarle tutto il giorno. Ce la mettevamo davvero tutta. Le copiavamo in silenzio. Era la prima volta che facevamo qualcosa in silenzio e ce ne vergognavamo, ma non potevamo farne a meno. Volevamo essere come loro, essere sempre più chiassose e colorate, ma il loro futuro ci sfuggiva, lo sentivamo, perché non eravamo stupide. Eravamo capaci di capire chi avrebbe spiccato il volo in anticipo, e non eravamo noi.Anche quando eravamo felici, anche quando ci rassicuravamo a vicenda che stavamo vivendo per davvero, dentro di noi si nascondeva la sensazione che così non fosse. Ce ne stavamo con il viso premuto contro il vetro delle nostre stesse vite. È tutto qui? ci chiedevamo. Ci stiamo divertendo come loro? Ci innamoriamo come loro? Passavamo le giornate a seguirle, a studiarle, in attesa di un invito. Cercavamo di sfuggire al fatto che quelle domande si rispondevano da sole. Non eravamo soddisfatte e non lo saremmo mai state.p. 57
Certe volte penso che io, mia sorella e mia madre siamo un corpo solo. La distanza che mi separa da loro mi causa una sofferenza fisica, ma è terribile cercare di attraversarla con le parole. Solo quando siamo insieme, vicine, in silenzio, mi sento tutta intera, ma anche terrorizzata, perché alla fine una di noi dovrà parlare o muoversi e rovinare tutto.p. 59
[...] penso a quanto sia ridicolo aver passato cinque anni della mia vita a misurare ogni cosa a seconda di quanto poteva piacergli, continuando a mandargli stupidi promemoria della necessità di amarmi.p. 67
La casa è progettata alla vecchia maniera della Florida, cioè per rimanere il più buia possibile. Le tapparelle sono abbassate e il linoleum marrone sbuffa sotto i piedi nudi. Accanto alla porta c'è un mucchio di scarpe e il pavimento sotto è coperto di ghiaia grigia, residui delle giornate passate in spiaggia. I mobili sono per lo più di legno scuro, scheggiati, con pannelli o maniglie mancanti, e sono pieni di bicchieri di plastica, piatti, giornali, fili, sacchetti. Calzini, quaderni, schede didattiche, scontrini e monetine sono sparpagliati in corridoio. Mi accorgo delle corazze incurvate di alcuni scarafaggi, morti vicino ai bordi dei tappetini. C'è un odore tipico della Florida, la tipica puzza d'America (plastica riscaldata a microonde, deodorante per ambienti, olio caldo) mescolata a muffa e a qualcos'altro, qualcosa di vecchissimo, marcescente e intriso di sudore, probabilmente la vita. Vorrei sdraiarmi in corridoio e chiudere gli occhi. L'odore è così familiare che è come tornare a cullarmi nell'utero.p. 80
Potremmo diventare come le nostre madri. Pensiamo alle nostre madri nei momenti in cui le amiamo di più, che sono sempre subito dopo quelli in cui le odiamo di più. Ogni tanto ci sono giorni e settimane tristi, in cui non rispondono ai nostri richiami, come se volessero farci capire a tutti i costi che non ci appartengono, perfino quando diciamo che sono finiti i cereali. Tornano sempre quando non ce lo aspettiamo. Si presentano a colazione o in balcone. Ci abbracciano forte e si scusano. Parlano difficile. Pensano che per noi le loro parole siano degli enigmi, ma non lo sono. Noi capiamo che sono tristi perché aspettano di essere scelte da qualcuno degli uomini del loro carosello, e quando glielo diciamo ci danno uno schiaffetto sulla testa, ma non ci sentono. «Non capite niente», ci dicono, e noi ci infuriamo tanto che certe volte le rispediamo dritte a letto.p. 98
Un uomo mi mette un braccio intorno alla vita e mi dà un pizzicotto sull'anca, senza minimamente interrompere il discorso che sta facendo e che conclude tranquillo con una battuta; le due donne di fianco a lui ridono. Si accorgono del pizzicotto, perché le donne si accorgono di tutto, ma sono anche tanto brave a capire le cose quanto a ignorarle.p. 108
Sentiamo ondate di malcontento fluttuare e poi ricaderci piano addosso. Abbiamo sempre avuto paura di rimanere sole, ma pensavamo di conoscere la soluzione, cioè stare insieme. Adesso siamo insieme ma ci sentiamo sole lo stesso. È orribile e ci aggrappiamo le une alle altre, negando questa tristezza molle che è come quella delle nostre madri.pp. 113-114
Ci hanno dato delle bestie quando in prima media abbiamo detto a Christian che non doveva avere paura di mettersi la gonna di Britney per andare a scuola, e poi dei ragazzi delle superiori lo hanno buttato in un cassonetto.
Ci hanno dato delle bestie quando abbiamo rotto lo specchio del bagno per spaventare Leila dopo aver invocato il diavolo per tre volte ed esserci finte possedute.
Ci hanno dato delle bestie ogni volta che ci hanno trovato a dar fuoco ai formicai al parco giochi e a giurare che fossero spuntati dal sangue del papà di Britney.
Ci hanno dato delle bestie quando abbiamo buttato già gli uccellini dai rami bel baniano per farli finire nelle grinfie dei gatti randagi. Non sopportavamo più i pigolii di richiamo per le madri i cui cadaveri ci erano già stati portati in dono dai gatti.
Ci hanno dato delle bestie l'estate in ci ci siamo fissati con le lucertole e trovavano i corpi sotto ai nostri letti, le code conservate in tante buste ermetiche separate con scritto per quanto tempo avevano continuato a muoversi dopo che le avevamo strappate. Facevamo a gara, e chi vinceva si teneva le code come trofeo.
Ci hanno dato delle bestie quando ci siamo prese la salmonella dopo aver mangiato un'intera ciotola di impasto per i brownie crudo.
Ci hanno dato delle bestie quando Jody ha perso l'assorbente interno in piscina e hanno dovuto cacciare via tutti per un giorno intero per disinfettare.
Ci hanno dato delle bestie quando abbiamo detto che i loro fidanzati erano dei pervertiti, ed era la verità.
Ci hanno dato delle bestie quando abbiamo bucato un orecchio a Christian usando una graffetta e un'arancia, e quando l'orecchio è rimasto bloccato abbiamo cercato di tirarlo fuori a forza con le pinze e il lobo si è squarciato.
Ci hanno dato delle bestie quando ci siamo stancate di sentirci dare delle bestie e allora abbiamo raccolto delle vespe morte con i pungiglioni ancora attaccati e gliele abbiamo messe nei portamonete e nelle Crocs che usavano al lavoro. «Bestie! ma come si può essere delle bestie del genere?»
Hanno pianto. Abbiamo pianto anche noi, perché sentivamo che stavano dicendo che eravamo sbagliate. Ci siamo sentite schifose e come se fossimo state i nostri padri e spaventate da noi stesse. Abbiamo cercato di farci piccole. Ci siamo raggomitolate, ma non spezzate. E sapevamo che l'idea di bontà delle nostre madri non si misurava in termini morali, ma a seconda di quanto rumore facevamo. E ci siamo cercate in fretta di cercare di essere buone a modo loro.pp. 135-136
Il barista era uno stronzo, ma beveva tanto e bevevo tanto anche io, e da ubriachi eravamo così perfidi l'una con l'altro che il nostro sembrava l'unico vero dialogo onesto al mondo. Passavo le giornate ad assecondare quei piccoli atti di gentilezza che servivano a tirare avanti, a dire: «Buona giornata» e «Come va?» e «Tornate a trovarci». Poi, la sera tardi, a cena, io e lui ci facevamo a pezzi con parole così attente e crudeli che diventavano una forma di poesia. Ci scartavetravamo praticamente fino a brillare. Ma alla fine ci siamo distrutti al punto che è bastato un tocco di tenerezza perché lui mi tradisse. Sarebbe potuto succedere anche a me, ma gli uomini distrutti sono molto più attraenti delle donne distrutte. Gli uomini distrutti ispirano desiderio, mentre le donne distrutte cercano solo di farsi trattare ancora peggio.pp. 145-146
Non dice niente ma mi guarda, e più mi guarda, più sembra allarmarsi, come se si rendesse conto solo ora che io non sono un enigma che non dovrà mai risolvere, ma una persona a tutto tondo, che pulsa di questa merda di vita. Mi sto rendendo conto della stessa cosa riguardo a lui e non è una sensazione piacevole. So come si chiama, ma nella mia testa, a dire il vero, è solo un uomo in completo elegante. Potrei lasciarlo in questo momento. Potrei scendere e mettermi a bere con le ragazze. Sento già le loro voci che mi consolano, che escogitano piani che non realizzeremo mai, fino ad avvicinarci a quel non detto che è sempre rimasto in sospeso tra noi. Svuoteremo i bicchieri e poi le bottiglie e torneremo di corsa alle nostre vite polverose e agli uomini stupidi che abbiamo scelto per decorarle. Trascorreremo i nostri giorni a fingere di essere felici e ogni tanto a riuscirci. Chiuderemo la porta a chiave la sera e faremo il caffè la mattina. Ci consoleremo con cani e bambini e il nostro talento segreto per le bugie.p. 158
Spesso preferisco mio figlio. È più semplice. Gli piace andare a sbattere fortissimo contro le cose e poi aggrapparsi a me finché il dolore non svanisce. Potrebbe farlo tutto il giorno, non si annoia mai, dolore seguito da amore. Mi chiedo se abbia scoperto qualcosa in particolare: vuole continuamente sperimentare i due estremi della vita. Invece mia figlia è spacciata, perché vuole capirli.
Dizz Tate
Bestie
Neri Pozza
219 pp.
18 euro