Scavallata la metà di Gennaio è un attimo che passa una rondine ed è già primavera!
Falso.
Ma vederla così ottimisticamente aiuta a tenere botta e andare avanti con una certa dignità. Anche perché, personalmente, non oso immaginare come arriverò al disgelo. Dalla Befana a oggi, io ho visto già gli elefanti volar: recrudescenza di bronchite del figlio piccolo con pellegrinaggi dalla pediatra che neanche a San Giovanni Rotondo; tosse imperitura della figlia meno piccola che però ha imparato a non tossire davanti alle maestre che se la scoprono la spediscono subito a casa e noi non vogliamo che questo succeda, gioia. Tentativi di digiuno intermittente stroncati dalla febbre e dalla vita; caduta sul marciapiede ghiacciato (pantaloni salvi, ginocchio meno); spesi soldi extra in oggetti di veramente poco appeal come un aerosol portatile. Che però è la vita: non so come abbiamo potuto vivere senza fino a ora.
Per non parlare del giorno del compleanno che oramai è destinato a celebrare la decadenza.
Insomma, disaGennaio volge abbastanza al suo compimento e poi saranno solo fiori, cuori e Sanremo perché Febbraio ancora non si sopporta quindi tocca sforzarsi un po' per far passare pure quello.
Fortuna che i cieli di Budapest sono spesso indimenticabili.
Una cosa bellissima, eccotela: il primo appuntamento del Club del libro dell'Istituto Italiano di Cultura di Budapest da me medesima diretto, che si terrà il prossimo giovedì 25 gennaio alle 17:30 nella Biblioteca dell'Istituto. Per partecipare, basta contattare la Biblioteca. Quindi, se sarai in zona, ti aspetto.
Il libro di cui discuteremo insieme la prossima settima è proprio quello cui dedico questa ventunesima puntata di Librini.
Prima di proseguire con la ciccia, permettimi di ricordarti che ormai da qualche settimana Librini è su Buy me a coffee perché la newsletter è gratis ma la caffeina no e, come una specie di droga, il suo consumo sta iniziando a incidere con significato sul budget familiare. Se ti va, puoi contribuire a evitare il mio collasso offrendomi un cappuccino in ogni momento. Che amabile!
In calce, alla fine della newsletter, nel riquadro grigio, trovi i link per invitare i tuoi amici a iscriversi e per girovagare a ritroso nelle puntate precedenti.
Per te che leggi questa newsletter per la prima volta: grazie di essere qui ed ecco cosa troverai in ordine sparso nelle "righe" che seguiranno:
In formato di testo:
Titolo
Autore
Editore
Numero di pagine
Prezzo
La mia attesissima ed irrinunciabile nonché per nulla esaustiva mini recensione
Espressioni, frasi o brani che mi sono piaciuti e potrebbero strabiliare anche te
In immagini:
La foto un po' bellina della copertina e una banalissima della quarta di copertina, del retro
La seconda e la terza di copertina, ovvero l'aletta anteriore e quella posteriore
La prima pagina, per poter leggere l'incipit e valutare l'impaginazione
Dediche e/o citazioni iniziali scritte bene e degne di nota
Il libro in mano, per saggiarne l'ingombro.
Donatella di Pietrantonio la conosciamo. L'amiamo. L'abbiamo anche vista rappresentata sul grande schermo con la sua Arminuta, proprio per gli extra terrestri, i pigri e gli analfabeti che si fossero persi il romanzo, vincitore del premio Campiello nel 2017.
È arrivata seconda al Premio Strega con Borgo Sud nel 2021 e ha ottenuto svariati altri premi e riconoscimenti per i precedenti romanzi Mia madre è un fiume, il suo esordio, e Bella mia. Vanta una pagina Wikipedia che la definisce "scrittrice italiana" ma forse lei avrebbe voluto veder scritto "dentista", chissà, trattandosi questa della sua principale occupazione.
Di mestiere la Di Pietrantonio mette le mani in bocca alla gente e trafigge i cuori dei lettori con una scrittura che riesce a essere al contempo asciutta e sentimentale, sempre un po' sporca di pecore e terriccio, al profumo d'Abruzzo.
Anche L'età fragile, la sua ultima fatica uscita alla fine dell'anno appena conclusosi, compie il piccolo grande miracolo di concentrare in un numero misurato di pagine una storia che riporta alla mente un terribile fatto di cronaca nera avvenuto negli anni Novanta (che rimane tristemente attualissimo anche trent'anni dopo) senza che questo tolga ossigeno ad altri temi collaterali e altrettanto impegnativi quale quello della violenza di genere.
Il racconto del fatto perde l'asperità della cronaca per tramutarsi in ricordo di giovinezza: è attorno alla Lucia matura, madre, donna separata e professionista compiuta che si dipana la trama e tornano a parlare e muoversi personaggi di tre decadi indietro, dissodando emozioni andate e accendendo una luce su una zona di montagna che era stata dimenticata, relegata nell'ombra, a custodire qualcosa di indicibile.
Se questo inesprimibile la protagonista che parla in prima persona si trova costretta a riesumarlo è per via del confronto con un'altra storia di ventenni, quella di sua figlia Amanda, tornata a casa senza libri e senza parole dalla trasferta universitaria milanese.
Il rapporto tra generazioni, specie tra genitori e figli, rappresenta tanta parte dello scombussolamento narrato. Lucia si strugge e si arrabbia, non capisce sua figlia muta e impenetrabile: mentre la puntella di domande e suggerimenti scopre di non (ri)conoscerla, perciò se ne (pre)occupa male, come può, come fanno tutte le madri degli adolescenti.
Lucia è anche ancora fortemente figlia, con un padre burbero e all'antica, silenzioso, cui tener testa ogni momento; una madre remissiva e schiva, difficile da stimare e cui irrimediabilmente non vuol somigliare, ma chissà.
Trovo sia questo il tema di maggior valore di tutto il libro, un nodo sempre da sciogliere nella poetica della Di Pietrantonio, se pensiamo alle trame dei suoi romanzi più famosi.
Nonostante ciò, nelle veloci pagine di questo splendido Einaudi che si avvolge con una mano e si porta ovunque perché duri il tempo di un tranquillo fine settimana, oltre al delicato e ancora incredibilmente troppo attuale dramma della violenza sulle donne, fanno capolino, tratteggiati con pennellate accurate ma mai definitive, altri argomenti come quello del falso mito della montagna e della natura amica, che non sempre nobilita, anzi può inselvatichire e dannare. La stessa natura che per i ricchi risulta una meraviglia, per i poveretti che ci sgobbano è schiavitù e maledizione.
Altro tema sfiorato è la spettacolarizzazione del dolore in certa cronaca italiana, la gestione delle informazioni da parte del giornalismo, le poste di fronte a casa della sopravvissuta, Doralice, domande affannose finché il caso fa notizia. Brulicanti, i professionisti della comunicazione occupano alberghi, stravolgono cittadine, assalgono di domande, appiccicano etichette nette e indelebili nella memoria. Vogliono e devono tutto mostrare, commentare; poi sciamano via, e non si sa se avranno lasciato cocci facili a rimuoversi.
Ma più di tutto è come Donatella Di Pietrantonio dice le cose che io mi chiedo ma come farà? È così sobria e incisiva. Poetica e senza fronzoli. Tanti punti, così adatti, che fanno respirare il testo. Cose dette chiaramente, in quel modo definitivo che non puoi che annuire mentre sospingi lo sguardo fra le righe. Persino quando descrive un corpo violato sa essere penetrante eppure lo sguardo lo tiene leggero lì sopra. Sempre così opportuna pare. Determinante sentir spiegare le cose da lei.
C'ho fatto una lacrima, su qualche frase. E non per la storia in sé, terribile. Ma per come il mio animo ha risuonato spesso a leggere dell'adolescenza e del rapporto incompiuto con le madri, e i padri; della fatica, l'impotenza dei genitori, tante volte. Della giovinezza che può tutto, non teme niente, eppure è così fragile.
L'età fragile. Quella che stai vivendo, sempre. Qualsiasi sia la conta dei tuoi anni.







Ho sottolineato…
p. 17
La rabbia scendeva piano, sfiammava le facce. Stavamo prendendo le misure per non diventare nemiche.p. 25
Ricordo una sera, Doralice imitava quell’uomo venuto da chissà dove. Signorina, non avete degli spinaci al burro per contorno? Non ci aveva lasciato nessuna mancia. Sedute sulle cassette vuote ridevano a bocca aperta. Il suo modo di rovesciare la testa all’indietro. È stata una delle ultime volte che abbiamo riso così. La nostra giovinezza stava per fermarsi e non ne sapevamo niente. Nemmeno il verso cupo della civetta ci ha impensierite.
p. 50
Chissà quanto lo disturba ora vedersi Dario davanti. Se non toglie la fotografia è solo per devozione a mia madre, che l’ha messa sotto vetro e appesa lì. Io la guardo, invece, ogni volta che vado. Su quel muro sono ancora sposata. Per tutta la vita, ne sono certa mentre stringo il bouquet. Sorrido al futuro che verrà, indistinto e radioso.
Io e Dario, fatico a capire dove ci siamo interrotti vent’anni dopo. Nell’abitudine, nei silenzi, tra i corpi sempre più lontano nel letto. A ogni domanda mi rispondo con un’altra, in una catena che non chiudo.
Di quella sposa ho esaurito il coraggio, i sogni. Non ho più la sua età, non ne ho la forza. Certe mattine rinuncerei ad alzarmi, anch’io come Amanda. Vorrei affondare in un sonno libero e irresponsabile, per un giorno, una settimana o di più. Servire soltanto a me stessa, dimenticarli tutti. Mio padre mi chiede di accompagnarlo nel suo ultimo tratto, insiste che prenda quel terreno. A mia figlia devo restituire il mondo. Mi tirano ognuno dalla propria parte, al proprio bisogno. Mi spezzano.p. 77
Mi sono bloccata di nuovo, accanto al marsupio caduto sui funghi. Ero vicina, adesso, me la coprivano quelli che le stavano intorno. Un carabiniere parlava forte e una radio piena di fruscii e interferenze, spiegava la posizione. Ancora qualche passo, Dario si è spostato e lei era così bianca, sembrava di cera. Addossò aveva la maglietta, tirata su fino al collo, poi nuda fino alle calze ripiegate sugli scarponi. Una fila di formiche le camminava tra i seni, attraversava la faccia in diagonale, si perdeva nei capelli. Qualcuna deviava per entrarle in bocca. Riuscivo a pensare solo al braccio abbandonato sul cespuglio di pungitopo . Avrei voluto prenderle la mano e spostarla ancora adesso da quelle spine.p. 78
Mi ha offerto una liquirizia e l’ho presa, ma poi non riuscivo a metterla in bocca. Siamo rimasti lì, io con il tocchetto nero nella mano, e tra noi la piccola luce puntata verso il cielo. Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all’altro che potevamo cedere, perderci, e persino morire.p. 96
- Ti ha detto qualcosa di Amanda?
Che non era felice, a Milano. Forse nemmeno le piaceva quello che studiava.
- E tu non ti eri accorta di niente?
- Perché, tu te n’eri accorto?
Era da me che Amanda tornava, per le vacanze.
- Io non c’ero, - si difende.
Appunto, lui non c’era e io dovevo capire tutto dai silenzi? Una pausa e poi Dario me lo chiede.
- È colpa mia?
Alzo le spalle. Impossibile rispondergli con un sì o con un no. Non so dividere le colpe. E non so se le scelte di Amanda dipendono ancora da noi. A un certo punto perdiamo la presa sulla vita dei figli. Vanno da soli e ci guardano spietati.p. 97
La vita segreta dei figli. Sappiamo che esiste, ma non siamo mai pronti a toccarla. Restano per sempre angeli senza sesso nel chiuso delle nostre teste. Indifferenziati, mai del tutto partoriti.p. 103
- Io non voglio essere vecchio, ma mi tocca.p. 106
Siamo partiti con un’ora di anticipo per darci il tempo di visitare la basilica. Gli altri si attardano davanti alla facciata, io entro. La bellezza spoglia del restauro mi meraviglia. Siedo in un banco e mi sento accolta, nella mia lontananza da Dio. Questo silenzio mi calma, i pochi visitatori rispettosi. Se avessi fede ora pregherei Santa Maria del Collemaggio di aiutare mia figlia, di ripararla. Una Madonna saprebbe illuminare quella crepa in lei che io ancora non trovo. Potrebbe colmare il suo vuoto con un senso.
Una mancanza orizzontale attraversa un affresco proprio si piedi del Cristo crocifisso, ma è riempita di stucco. La differenza di colore è netta, eppure non dà fastidio. Significa che lì c’era una ferita ed è stata curata.p. 149
Non si può gioire per un ragazzo di vent’anni che passerà in carcere il resto della sua vita.p. 150
La natura è bella per i ricchi, non se devi lavorare come uno schiavo.p. 15
Mica era facile divertirsi, con mia madre. Si rifiutava di prendere la metropolitana, sottoterra le faceva paura. Non sapeva passeggiare, camminava svelta come se le stesse scappando qualcosa. Portavamo abbastanza soldi, ma non ha voluto comprarsi niente, nemmeno al mercato di Antignano. Per non vedere i vestiti s’i cantava davanti alle bancarelle del pesce, quei polpi enormi. Scegli per te, quello che tengo mi basta, diceva.
Odiavo il suo spirito di sacrificio. Io non volevo essere come lei. Mi sarei presa tutto il possibile, mi sarei goduta la giovinezza e il resto. Non è stato proprio così. Mia madre mi ha segnata più di quanto pensassi a vent’anni, ho finito per assomigliarle anche troppo.p. 155
In qualche momento, senza dircelo, siamo state felici, in quella settimana. […] Ha girato la sedia verso il mare e ha allungato le gambe nude. Ha chiuso gli occhi. Da così lontano la valle era un posto piccolo e in ombra.p. 159
Mi sono laureata due settimane dopo. Non so di preciso cosa mi avesse spinto a rimettermi sui libri. Ma che potevi fare. Non è stato il ritorno della forza di volontà, come pensava mia madre. Piuttosto non volevo finire come lei. Tutta quella fatica nei campi e non essere padrona di nessun denaro. I primi soldi proprio suoi sono stati quelli della pensione minima.p. 170
- Ma guardala tua figlia, sembra che si è svegliata di botto, - si stupisce mio padre.
Annuisco. Spero ma non mi fido, Amanda vive a momenti. Poi si ripiega su qualcosa che no. Sa, o non dice.p. 172
Come sono lontani a volte i pensieri dei figli da ciò che crediamo. Quella falsa sintonia con loro è solo un ricordo di quando erano bambini.p. 173
In certi momenti bisogna esserci nella vita dei figli, anche se sembra inutile.p. 174
Intanto ora è lì. Per un mese so o libera dalla responsabilità, un sollievo. Sono libera da lei. Lo penso e si iti mi vergogno. Un’o data di affetto mi sommerge. La vedo tra i filari, i capelli raccolti che sempre sfuggono. Mi pesa, la amo. Più di tutto la amo. Sarà lungo questo settembre.p. 176
Richiamate dal canto Tania e Virginia escono dalla parte più scura del bosco, attraversano il prato leggere. Milo neanche si accorge del loro passaggio alle sue spalle. Si siedono accanto a Doralice, sul letto di Tania la collana di giada dei ferma. Ascoltano sorridenti. A me čorolo, dural besava / Amaro dive, Ederlezi… La loro tenda non è lontana, hanno già preparato tutto e partiranno domattina presto. Il coro di stasera è una sorpresa, rompe il silenzio degli anni. Cade nel cielo sopra il Dente del Lupo l’ultima stella dell’estate.
Donatella Di Pietrantonio
L’età fragile
Einaudi
176 pp.
18 euro