Librini #28 - L'acqua del lago non è mai dolce
la newsletter sui libri che dura il tempo di un cappuccino
Immagina questa scena.
Intenta a sturare il naso del piccolo con un oggetto del demonio travestito da orsetto ammiccante di plastica, mi s'avvicina cauta l'assistente navigata: smalto per bambini sbocconcellato su manine luride, moccolo al naso (pure lei), treccine scombinate e un abbigliamento caratterizzato dall'accostamento selvaggio di nuance, stagionalità confuse, pulizia dei capi improbabile. Si è alzata che non è molto e deve ancora finire di fare colazione; poi dovremo porre rimedio al parrucco e aprire i cassetti per scegliere qualcosa di carino, di adatto, di accettabile per andare a scuola, anche se a lei interessano solo le mutande: con unicorni, con cuori, con arcobaleni, con Elsa.
Al terzo, quarto, nono, quarantacinquesimo richiamo, la mia voce inizia a perdere la pacatezza del risveglio e mi sento già catapultata un po' troppo avanti nella giornata, senza aver ancora potuto beneficiare dell'entrata in circolo del caffè. In più ho per le mani un piccolo buddha derviscio che detesta con tutto se stesso farsi pulire il faccino, asciugare le guanciotte, tamponare il nasuccio, figuriamoci vedersi inserire nelle narici un tubo verde di silicone lungo quanto un serpente, che connesso al suddetto macchinario del demonio fa il rumore di un'aspirapolvere e minaccia di risucchiare giù dalle narici persino la materia grigia.
L'operazione non è semplice; il marito sta facendo il nodo alla cravatta. Siamo solo io, il derviscio, la macchinetta infernale aspiramoccio e l'aiutante furbetta. Un po' sadicamente, quest'ultima si offre di azionare l'aggeggio mentre io tento di posizionare il tubo nella piccola riottosa narice del fratello. La manovra è di alta complessità ma il risultato viene portato a casa lo stesso e con soddisfazione, lasciando il bambino polipo a dimenarsi sul tappeto, mi avvio tronfia a svuotare e ripulire con un po' d'acqua il serbatoio di schifezze, che schiude ai miei occhi un ricco bottino di una specie di cugino di Slimer.
Mentre carico la lavastoviglie, faccio la conta mentale degli impegni della giornata, grido ad Azzurra che è ora di andare a lavarsi e vestirsi, valuto di gettare un avanzo trovato nel frigo, scaldo un biberon di latte, creo una lista immaginaria delle cose da mettere nello zainetto di scuola, tolgo un oggetto non identificato dalla bocca di Dante, cerco con un occhio solo il caricabatterie del telefono, faccio un salto in bagno per mettere qualcosa nella lavatrice — tutto nello stesso momento —, mi accorgo che l'adorabile biondina sta tentando di strangolare il piccolo buddha derviscio con il tubo verde di silicone giustappunto utilizzato per sturargli il naso. Mi precipito dunque sulla scena del delitto, con un gesto deciso libero il fratello dalla morsa della sorella e provo a riprendermi il maledetto condotto.
È in quel momento che il mio mazzolino di fiori di campo primaverili profumati si stizzisce e s'avvinghia come una scimmia al tubo verde che sta diventando una liana; poi ne mette in bocca un capo e comincia a mordicchiarlo. Non ci vedo più. Lascialo stare, per carità, costa un sacco di soldi!
Purtroppo è vero: la pertica di silicone verde che esce dal naso (o forse è la bocca) dell'orsetto del terrore è determinante per liberare il naso dei bambini costipati. Lo abbiamo comprato Dante e io a Natale, invece di un regalo vero — povero amore — quando siamo rimasti a casa da soli per tutte le vacanze di Natale perché lui aveva preso la bronchiolite. Ci siamo affezionati. Macchè, volevo dire che non possiamo vivere senza. E, sì, il nostro Nosiboo è costato inspiegabilmente un sacco di soldi.
È in quel momento che il marito si affaccia dal bagno con un nodo della cravatta perfetto e sostiene a voce alta e ferma che se il tubicino verrà violato e rovinato in qualche modo toccherà vendere un po' di giochi della Principessa Regina degli Unicorni di casa per poterlo ricomprare. Ingegnoso, penso io.
Non l'avesse mai detto. La piccola animaletta scoppia in un pianto nevrastenico che ci arriva scomposto in un groviglio di lamentele mentre saltellante e sconsolata corre da una stanza all’altra, indecisa su quali delle sue pertinenze, presenti su tutto il territorio domestico, concentrarsi per prime. Dal tipo di lamenti che escono dalla sua boccuccia comprendo che l’abbiamo colpita e affondata: non si sarebbe mai aspettata questo da noi. Noi! Che le diamo con parsimonia ma le diamo i soldini per le biglie piccole e ogni tanto, quando proprio quelli non li abbiamo, anche per quelle grandi. Noi, che abbiamo valutato con attenzione insieme a Babbo Natale l'opportunità di regalarle esattamente lo zainetto con Minnie Mouse e i brillantini che le piaceva tanto. Sempre noi, quelli che non negano l'ennesimo gioco educativo, il puzzle, il fermaglio, gli elastichini, la gomma a forma di panda, la colla luccicante, il braccialetto di perline, un nuovo amico di peluche per non lasciare soli gli altri trecentocentonovantadue, i cerotti con gli animaletti e possibilmente rosa, gli adesivi, i tatuaggi, gli spazzolini, i libri, libri di ogni genere.
Mentre lei elabora questo piccolo lutto e io son già passata alla prossima mansione che mi vede intenta ad armeggiare con garbo e timore con un pannolino maleodorante delle dimensioni di un bracciolo, da una stanza all'altra faccio notare che serviranno svariati giochi per coprire la spesa. Oppure il monopattino!
Il marito, orami vestito di tutto punto come se dovesse presenziare a una prima del Teatro alla Scala, sghignazzando m'incoraggia ad andare a sbirciare la mia piccola fiammiferaia, come s'è messa; e io lo faccio, seguendo gemiti e lamenti che provengono dalla stanza in cui il mezzo è parcheggiato. La trovo sconsolata e avvinghiata al suo monopattino viola, che non sa usare bene perché invece di guardare la strada fissa le ruote che s'illuminano mentre sta andando. Mi fa una tenerezza infinita; così guardo Gabriele e gli dico che no, poverina, ti pare che la traumatizziamo minacciando di vendere i suoi giochi?! Lui mi guarda divertito e più contrito di me: ma no, infatti, povera Picciula. Come ti è venuto in mente di dire una cosa così? ridacchio. Ma infatti, non so! sorride il mannequin. Azzurrina, vieni qui, non preoccuparti, non venderemo niente. Dài quel tubo a Papà. Sì, amore d'oro, stai tranquilla, Mamma scherzava: non lo tocca nessuno il tuo monopattino.
Sorvolando per un secondo sulla consistenza da gamberetto del nostro neppure così temerario tentativo di autorevolezza e responsabilizzazione della figlia treenne, vorrei dire che il siparietto ha svolto la sua parte determinante nell'imprimere un senso di leggerezza a tutta la giornata. Ogni cosa, o quasi, quel giorno, è stata fresca, leggera, bellina, piacevole, divertente, interessante, appagante. È molto divertente quando mio marito e io ci ritroviamo complici e ridacchianti in questo tipo di situazioni, alle spalle dei figlioletti.
Fatto sta che ho voluto raccontare tutto ciò perché invece la protagonista del libro della puntata di oggi avrebbe di certo bullizzato la nostra beneamata. E la madre della protagonista avrebbe preso me e mio marito da parte, c'avrebbe schiaffeggiato e poi avrebbe cercato di capire quanti soldi poter tirar sù vendendo una ventina di quei sudici pupazzi.
Questa è Librini, la newsletter letteraria più scanzonata di sempre. E tu la leggi volentieri di sabato mattina; sai che non s'accollerà, perché dura il tempo di un cappuccino.
Vai con la puntata ventotto.
Cosa abbiamo qui:
In formato di testo:
Titolo
Autore
Editore
Numero di pagine
Prezzo
La mia attesissima e irrinunciabile nonché per nulla esaustiva mini recensione
Espressioni, frasi o brani che mi sono piaciuti e potrebbero strabiliare anche te
In immagini:
La foto un po' bellina della copertina e una banalissima della quarta di copertina, del retro
La seconda e la terza di copertina, ovvero l'aletta anteriore e quella posteriore
La prima pagina, per poter leggere l'incipit e valutare l'impaginazione
Dediche e/o citazioni iniziali scritte bene e degne di nota
Il libro in mano, per saggiarne l'ingombro.
Giulia Caminito ha vinto il Premio Campiello 2021 con il suo terzo romanzo dal titolo L'acqua de lago non è mai dolce edito da Bompiani e tradotto in venti paesi.
Lo stesso anno lo stesso libro è arrivato tra i finalisti del Premio Strega e, in generale, quest'autrice non è estranea al mondo dei premi letterari, considerando che il suo esordio, La grande A, ha vinto nel 2016 il Premio Bagutta Opera Prima, il Premio Berto e il Premio Brancati Giovani mentre il secondo romanzo del 2019 Un giorno verrà ha vinto il Premio Fiesole Under 40.
D'ora in poi, la Caminito si può pregiare altresì d'essere incoronata Regina dei nostri cuori per aver avuto la grazia di passare a salutarci nel bel mezzo del nostro Club del Libro dell'Istituto Italiano di Cultura di Budapest, questo giovedì di Liberazione. Si dà il caso che l'autrice fosse stata invitata a partecipare al Pest Text, un importante festival letterario della città. È atterrata nella capitale ungherese consapevole che proprio in quel momento un gruppo di persone era riunito in una splendida biblioteca per parlare di lei e del suo lago e ha deciso di passare a farci visita.
Si è seduta fra noi, ha detto di continuare pure senza badare alla sua presenza, ha firmato autografi ricchi di grazie, risposto a domande incuriosite e commentato passaggi, personaggi e relazioni con interesse e passione come se fosse stata la prima volta per lei. Ha anche incontrato la sua traduttrice ungherese, Margit Lukàcsi, che stava partecipando all'incontro, e con attenzione si è lasciata raccontare l'esperienza di trasposizione da una lingua a un'altra, da un mondo a un altro, da una cultura a un'altra. E le è piaciuto.
Mai quanto a noi, comunque, che abbiamo impreziosito l'esperienza di lettura di questo mese con l'evento più interessante che si possa fare, ovvero discutendone con l'autrice in persona. Neanche a dire la mia gioia, che animo con gratitudine e orgoglio un nutrito Club del Libro che fino a una manciata di mesi fa non esisteva, e lo faccio a mio modo, con la leggerezza e la sensibilità che provo a mettere anche in queste righe che leggi tu, ogni paio di settimane, e vedo diventare questo piacevole sforzo qualcosa di sempre un po' più importante.
L'acqua del lago non è mai dolce è uno di quei romanzi imperdibili, che parla direttamente alla mia generazione, indirettamente a quella dei miei genitori e prova a dire qualcosa anche agli adolescenti moderni, perché è scritto in prima persona da una ragazza molto arrabbiata e frustrata sin dall'infanzia dall'ossessione del possedere quanto la sua famiglia non si può permettere di comprare. Segnata dallo stigma della povertà e dell'indigenza che li costringe a traslocare di topaia in topaia in attesa dell'assegnazione di una casa popolare, si converte pian piano in una giovane donna incapace di amare davvero, di lasciarsi andare all'affetto sincero, schiacciata dalla necessità di dover dimostrare il suo valore alla madre che a tutti i costi vuole farla studiare per spingerla a ottenere un futuro migliore del suo, un gradino più in alto, dove il lavoro è sicuro e ben pagato, la casa è tua e i figli non scappano ma sono una scelta ragionata di vita.
Per provare a garantire tutto questo, la madre Antonia è la classica persona figlia di una generazione e portatrice di una visione del mondo decisamente austera, senza fronzoli, molto rispettosa di certe questioni, a partire dalla cosa pubblica. Una donna incrollabile, lavoratrice, capace unicamente di una maternità un po' animalesca, molto basilare, che ha tempo di concentrarsi solo sulla sopravvivenza dei figli (han mangiato e bevuto, sono sani e stanno rigando dritto: è sufficiente). Antonia di figli ne ha quattro e non ha tempo da perdere in smancerie; quando infatti lo fa il risultato è molto goffo: non sa applicarsi al superfluo, non immagina cosa piaccia davvero alla figlia, non sa rispettare i suoi desideri e non fa che sovrastarla con le sue decisioni, anche quando le impone il festeggiamento della maggiore età con una festa di compleanno un po' imbarazzante alla quale alla figlia tocca pure presentarsi con un vestito che la fa vergognare.
Gaia, è questo il nome della protagonista, che compare solo una volta nel libro come firma a una lettera, è tutt'altro che lo specchio del significato del suo nome. Piuttosto, è cupa e imperscrutabile come solo i laghi sanno essere, come quello sulle sponde del quale abita lei, cresce, prova ad affezionarsi, viene tradita, infligge dolori, viene canzonata, inciampa in ostacoli che non ha mai gli strumenti giusti per superare senza danno. Il lago in questione è quello di Bracciano e il momento storico descritto quello della mia adolescenza, agli albori del computer e dei telefonini ma prima dei social media, quello in cui un pudore particolare ammantava ancora una certa parte di giovinezza e la parola bullismo non esisteva per comprendere e provare a spiegare e curare certi movimenti magmatici.
A parlare di questo libro, oramai, non riesco più a usare solo parole e pensieri miei: sono enfia e grata, strabordante delle suggestioni accumulate durante il Club del Libro, che ho aperto considerando che i temi, i personaggi e le relazioni in atto di questo romanzo sono talmente tanti e importanti, ingombranti, che non era possibile decidere in autonomia di parlare di alcuni per escluderne altri. Così ci ha guidato un flusso, uno scambio di interessi e pareri anche molto contrastanti che hanno fatto luce su aspetti che non avevo considerato. Poi è arrivata Giulia a parlare del suo lago, delle creature che lo popolano, a illustrarci la sua scrittura, il suo processo creativo e a dare spiegazioni a certe domande da lettrici e lettori. Poi, ancora, gli ungheresi l'hanno intervistata e l'autrice ha risposto a domande poste con un altro punto di vista ed è stato di nuovo, ancora così interessante, e illuminante. Anche perché la Caminito non scrive solo in modo magnetico ma parla anche con grande lucidità, e con una semplicità tipica di quell'arte povera e nobile che tanto le piace e che restituisce al pubblico un valore aggiunto alla riflessione generale.
Il romanzo è talmente ricco di passaggi emblematici sia da un punto di vista linguistico sia psicologico che non è possibile darne atto compiuto. Non riesco neanche a iniziare: se parlo del rapporto madre figlia, esiste quello tra fratelli, tra padre e figlio, tra amiche vere e presunte, quello con l’ambiente, con il giudizio sociale; c’è il bullismo, la sessualità, il suicidio, la morte, la contaminazione, l’adolescenza, la lotta sociale e molto altro.
Ciò che mi ha colpito molto, in generale, è la capacità di crudezza e la mancanza di pudore nel trattare il tema della povertà e della ricchezza; la riflessione sul possesso di oggetti e persone e l'esplorazione delle dinamiche che una protagonista controversa, spesso scomoda, molto ruvida sa muovere anche nel sentire del lettore. Trovo la capacità di narrazione di Giulia Caminito un tesoro da proteggere e valorizzare per le generazioni a venire e non posso dire la contentezza nell'aver appreso che a settembre uscirà finalmente il suo nuovo romanzo.
Avevo già parlato de La grande A in una puntata speciale di Librini. E ti invidio molto se, per caso, non avessi ancora letto questo lago mai dolce, perché avere un bel libro da aprire è uno dei piaceri fondamentali della vita.






Ho sottolineato…
p. 12
Io non ho giocattoli e ho poche amiche, mi tocca di ogni cosa la sua mala copia: la bambola cucita con pezzi d stoffa avanzati, la cartella usata da un’altra bambina e con i suoi disegni sopra, le scarpe del mercato portate a casa senza scatola ma dentro una busta di plastica con la suola già consumata, al posto delle luci di Natale i mandarini, al posto delle Barbie le loro fotografie ritagliate dalle riviste.
Penso che siamo materiali di scarto, carte inutili in un gioco complicato, biglie scheggiate che non rotolano più: siamo rimasti immobili a terra, come mio padre, caduto da una impalcatura inadeguata, in un cantiere illegale, senza contratto e senza assicurazione e da laggiù, dal punto in cui siamo precipitati, vediamo gli altri mettersi al collo collane di gemme.
I gemelli sono minuscole creature chiassose che dormono in un enorme scatolone pieno di coperte appoggiato sul tavolo della cucina, e l’odore dei loro pannolini si mischia alla minestra.
Mariano e io non capiamo perché siamo ancora lì e non abbiamo mai provato a scappare, lo progettiamo di nascosto, io e quel bambino dai capelli scuri, il momento in cui fuggiremo, eppure non siamo mai pronti a scantonare, girare l’angolo della nostra vita.
p. 23
Ti ho spiegato molte volte che non puoi giocare nel cortile, non è come alla casa vecchia, quella sta là per decorare, capito? Non per giocare, erbe a rendere bello il palazzo, è come un fiocco.
Stavo zitta e guardavo i pesci, cosa c fanno questi stupidi con un posto bello ma che nessuno può toccare? rispondo io.
E che ci fanno le collane, con il pizzo e con i merletti? Niente, la gente non fa niente con niente, si fa bella e basta.
I giorni seguenti passo davanti alla fontana guardandola come un amante perduto, persino i pesci sono gioielli e le rouse sono belletti e a nessuno importa di loro.
pp. 30-31
A guardarlo d audio il palazzo sembra una fabbrica di piccole dimensioni, potrebbe produrre scatolette di tono o scarpe dai lacci spessi, avere uno scarico rifiuti o sul retro e operai che timbrano il cartellino ogni mattina alle sette, ma in realtà è il complesso delle case popolari, intorno ci sono villette, due pacchetti per portare guinzagli e sonagli, un piazzale rettangolare, chiaro come la sabbia delle Hawaii e duro di calcestruzzo.
Affaccia sulla strada principale del paese, vicino ci sono un negozio di materiali edili, un ottico che propone sconti se prendi due e paghi uno e una casa in costruzione.
Le finestre sono tutte della stessa altezza, i terrazzini squadrati in cui al massimo entrano un tavolino e due sgabelli, il vaso dell’aloe e il porta scope, il portone d’ingresso da cui si aprono le scale simmetriche, un palazzo compatto, né vecchio né nuovo, somigliante a una donna di mezza età che non veste di balze e perle ma non ama uscire in pubblico senza coprire le occhiaie.
p. 33
Quando arriviamo, ricomincia la marcia dei pacchi e dei mobili, c’è un amico di mia madre ad aiutare, si chiama Vincenzo e conosce mia mare dall’infanzia, noi lo chiamiamo per nome, mio padre lo chiama quello.
p. 35
Il suo naso non ce l’ha nessuno di noi ed è l’unica cosa che gli è rimasta d suo padre, del quale non possiede neanche il cognome, ne ignora dati anagrafici o occupazione lavorativa, non saprebbe riconoscerlo nella folla né cercarlo sotto Natale per gli auguri di rito.
Quel naso, che mia madre chiama caratteristico e io chiamo finto, perché sembra non appartenere davvero al suo volto ma essere stato appoggiato lì per caso, non lo abbiamo né Antonia néRoberto né Maicol né io né tanto meno mio padre.
Anzi, negli anni, mio padre ha deciso che quel naso poteva essere la sua rivincita, la sua maniera per rendersi indigesto anche senza dover fare grandi movimenti, ha preso dai bambini la capacità di ferire con poca fatica.
p. 37
Mio fratello mi ha spiegato molte cose del paese, come il fatto che è necessario identificarsi prima di pretendere attenzione, si esiste quando gli altri hanno capito con certezza chi se, quando rendi chiaro da che famiglia provieni, quali sono i tuoi terreni, quali le case le ville gli appartamenti, a che rione appartieni, se hai un negozio, se proponi sconti, se tieni chiusa l’attività il giovedì come è regola, se tuo fratello studia con il figlio di,m che mestiere pratichi, se la Fiat rossa è tua, quella parcheggiata direttamente sul marciapiede o hai il cancello automatico, se abbassi la saracinesca quando per strada passa il carro funebre.
p. 43
Per crescere bisogna faticare, non si è fanciulli a lungo, non verrai difeso, accudito, abbeverato, ripulito, salvato per sempre, arriva il momento in cui tocca a te stare al mondo, e questo è il mio.
p. 50
Studio pazzamente per mantenere la sufficienza in educazione tecnica andando bene all’orale, imparo a memoria come si fanno i prefabbricati e gli impianti elettrici, le strutture residenti e le costruzioni, cerco di conoscere a menadito le arti tessili e ceramiche, ministro a mio padre i miei disegni, lui ne ride e senza pazienza prova. Indicarmi come andrebbero eseguiti a suo parere, ma né lui né mia madre hanno studiato o disegnato, hanno scritto o interpretato, e se l’hanno fatto la vita glielo ha reso dimenticabile.
p. 55
Le altre ragazzine per Natale ricevono i primi cellulari che sono grossi come banane e tutti grigi, si fanno squillarti per comunicarsi pensieri, si scrivono messaggi sgrammaticati e tvb.
Da questa fotografia io sono tagliata fuori, come da quella di classe fatta in gita al Museo Etrusco di Villa Giulia, dove avevamo visto centinaia di cocci e concetti e statuette teche e noia. Quando me la consegnano, stampata su carta lucida e inamidata, maneggio le forbici e recido la mia testa, un quadratino esterno in alto a sinistra.
Zac e poi zac e la ved cadere.
Rimane quel quadrato, con la faccia di Orecchie, che non sono io, è una che non conosco e di cui Oglio al più presto perdere le tracce.
Prendo quel volto e lo metto nel posacenere di mio padre, dove so che lui spegne le sigarette senza neanche guardare, e così fa anche quella volta, dopo cena, la sua cenere buca la foto.
. . .
Vabbè, basta! Sono troppe. Devi leggerlo assolutamente ;)
Giulia Caminito
L’acqua del lago non è mai dolce
Giunti
309 pp.
14,00 euro