Sono circa due settimane che penso sia la settimana successiva a quella che in realtà è.
A niente son valsi la fidata Moleskine, il calendario che troneggia in cucina con le foto dei bambini, gli avvisi sul telefono per qualsiasi cosa: compleanni, dentista, roba da pagare, feste per minorenni ed eventi serali. Assolutamente niente; con un susseguirsi di disguidi derivante dal mio disorientamento per nulla indifferenti. Di certo perdo colpi perché starò invecchiando ma, questa volta, anche perché ultimamente ho riscontrato un sovraccarico di impegni rispetto al solito tale per cui forse, inconsciamente, non vedevo l'ora di ritrovarmi a questo preciso istante: quello in cui apri la mail con la leggerezza del sabato mattina e t'inoltri nella puntata #41 di Librini, in un momento di relax che a me fa dire Bene, ho finito, anche stavolta è andata.
Dopo l'evento più importante di Ottobre, ovvero la festa di compleanno di Azzurra, che s'incasella a inizio mese e i cui strascichi (fra decorazioni e regali da aprire) si manifestano sino ai Santi, ho spostato le mie energie extra sulla preparazione di due eventi eccezionali. Infatti, sono stata invitata a partecipare alla Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, "evento di promozione dell’italiano come grande lingua di cultura classica e contemporanea che la rete culturale e diplomatica della Farnesina organizza ogni anno, nella terza settimana di ottobre, intorno a un tema che serve da filo rosso per conferenze, mostre e spettacoli, incontri con scrittori, intellettuali, studiosi, artisti". Poiché il tema della SLIM2024 è stato L'italiano e il libro: il mondo fra le righe, sono stata contattata da Scuole italiane a Lima e a New York per parlare con ragazzi delle medie e del liceo della mia avventura con la newsletter e, più in generale, del mio rapporto con i libri, la lettura e la scrittura.
Sono stati due incontri molto belli e per me emozionanti: a Lima ho rimesso metaforicamente piede nel Colegio Italiano Antonio Raimondi che mi ha riaperto un solco nel cuore, ripensando alla mia esperienza di vita peruviana, mentre a New York ho invaso una classe che mi ha ricordato molto la mia di quando andavo al liceo.
Giustamente, il computer già affaticato ha pensato bene di dimostrarmi con gran tempismo che non avrebbe retto lavoro straordinario per cui mi sono collegata con le Americhe usando il mio irriducibile telefono e l'ho fatto in entrambe le occasioni dalla Biblioteca dell'Istituto Italiano di Cultura di Budapest, dove mi sento un po' di casa, anche grazie al Club del Libro che animo lì da quasi un anno.
Ho provato l'inquadratura cento volte, scarabocchiato e messo in bella svariate pagine di appunti; ho immaginato nel dettaglio come vestirmi per non risultare una bacchettona o una gendarme: se metti un blazer nero di fronte a dei ragazzini, sono altissime le probabilità di venire interpretata come una testimone di Geova, una manager della FCA o una becchina. Per fugare ogni dubbio ho optato per una maglietta di Stranger Things alle medie e una dei Pink Floyd al liceo per veicolare tacitamente lo spirito creativo e ribelle che c'è in me. Ma la vestemica, seppur importante, non può tutto e in entrambe le situazioni mi hanno dato del lei immaginando di certo che avrei potuto essere un'amica della loro madre o, al limite, la zia giovane.
Fatto sta che mi ero preparata degli appunti da far invidia a una maturanda, un po' da psicopatica avendo sviluppato il discorso in verticale: un Rotolone Regina di suggestioni e commenti e spunti il più intelligenti possibile dietro cui trincerarmi per affrontare l'adolescenza di oggi. È andata bene: sono stati molto gentili e clementi, mi hanno accolto con simpatia e interesse — a detta dei loro insegnanti — e mi hanno rivolto domande puntuali e stimolanti. Alcune di esse mi erano state soffiate con anticipo ma sono anche stata colta in flagrante con quesiti a sorpresa che solo i ragazzi, freschi e indomabili come sono, possono fare. Fra i miei preferiti: Cosa rende un libro bello da leggere?, Perché ti piace la lettura?, Puoi dire il titolo di un libro che ha reso migliore la tua vita?
Non volendo tradire la spontaneità con la quale ho avvertito giungermi certe questioni, ho fatto molta attenzione a rispondere con cuore e sincerità, per non rischiare di risultare costruita e, aiutata dalle magliette poco pretenziose, ho tentato di dare un'immagine di me e di quello che faccio il più possibile concreta e rispondente alla realtà.
Ricordo bene quando, da adolescente, seduta nel calore del mio banco, circondata dai miei compagni e dalle mie compagne di classe, o tutti stretti nei banchi dell'aula magna, si aspettava curiosi che arrivassero testimonianze dal mondo esterno sotto forma di uomini e donne che a noi dovevano sembrare decrepiti e che magari avevano poco più o meno della mie età adesso, esperti o professionisti di settori che a noi apparivano allora come il futuro. L'aspettativa e la curiosità di quei momenti sono ancora chiare e definite dentro di me ed è stato particolare ritrovarmi dall'altra parte dell'uditorio, pochi giorni fa: essere io l'invitata esperta, il soggetto delle domande sul mio settore, l'adulta da mettere tacitamente inevitabilmente alla prova e, com'è comprensibile, da giudicare spietatamente. I ragazzi di Lima e New York sono stati molto più adorabili dell’adolescente attentissima, impietosa e tremenda che sono stata io e penso mi abbiano perdonato per non aver pienamente risposto a una domanda cruciale ovvero se potessi essere il personaggio di un libro, quale ti piacerebbe essere?. Sono caduta dal pero: con tutte le storie che ho letto e conosco, non mi è venuta in mente la mia protagonista preferita, non ho saputo rintracciarne nessuna in particolare nella mia mente e così per i giorni a seguire. Ho risposto che di certo mi sarebbe piaciuto essere un personaggio a caso di Cent'anni di solitudine, solo per poter essere immersa in quel realismo magico così affascinante tratteggiato magistralmente da Gabo. Non ho certo detto una menzogna eppure sento di avere un po’ barato.
Un'altra domanda entusiasmante è stata Come fai a concentrarti per leggere tanti libri?Mi è venuto tanto da ridere e da piangere insieme perché la realtà che ho modestamente confessato, ma che a quell'età attraversa il cervello come una palla di sterpaglie in un campo lungo in un film western, è che di concentrazione non ne ho mai, quasi mai. Che sono una mamma con due bambini piccoli, che non ha aiuti gratis e familiari sui quali poter fare affidamento, che cucina da matti e comunque non abbastanza per non soccombere al senso di colpa di aver dato da mangiare cibo processato alla propria famiglia; una che vuole vivere in una casa accettabile se non proprio ordinata, e in un corpo pulito se non proprio profumato di spa; una che porta i bambini alla lezione di musica in inglese se non hanno scuola e il sabato fa i biscotti (ma anche il martedì) o invita gli amici a pranzo e prepara tutto dall'antipasto al dolce; una che vuole anche sistemarsi le unghie, che si ricorda di fare regalini per i compleanni. Che la vita adulta è piena d'incombenze e sono una che, in tutto questo, si è inventata una newsletter con cadenza bisettimanale che prevede la lettura di molti libri, sì. E, in effetti, è così, anche se non ne leggo mai abbastanza, mai quanti vorrei e soprattutto non lo faccio quasi mai con la concentrazione e la calma che servirebbero. Lo faccio e basta, per ora, tirando anche un po' a campare e sapendo che questo momento di vita è fatto così e Sara direbbe che Amel direbbe: "Embrace it!".
A loro non ho detto proprio le cose così, nude e crude, comunque penso di averli conquistati quando ho confessato che non è tanto importante quanto leggono ma cosaleggono e cosa leggono non dev'essere per forza Qualcosa con la Q maiuscola ma qualcosache possa aver valore per loro. È anche così che ci si avvicina alla lettura: per abitudineall'oggetto libro; e, se fra le righe che hai a portata di mano, il mondo descritto non ti parla, allora tanto vale cambiare testo, senza vergogna e senza paura. Dunque ho sfoderato il decalogo per eccellenza, I diritti del lettore del caro Pennac, cui io mi appello sempre e per sempre. A tal proposito, a un certo punto devo aver persino rivelato di non aver apprezzato, anzi di aver messo da parte certi intoccabili classiconi mattonazzi come Il vecchio e il mare e aver altresì confessato che il mio libro ristoro, riparo, coccola per eccellenza, non è Anna Karenina ma, senza troppe pretese, il graziosissimo L'isola nel sole ambientato nella mia magica Ischia.
Insomma, in una settimana passata fra Lima e New York, a portarmi appresso i miei appunti da psicopatica e computer che vogliono andare in pensione, è arrivata anche Claudia Durastanti a Budapest, invitata al Margó Festival per parlare del suo La straniera.
Panico e scompiglio: sono estranea a La straniera.
Avrò l'opportunità di conoscere la Durastanti e non ho letto niente di suo.
Imperdonabile. Impossibile. Inaccettabile.
Lo prendo in prestito dalla Biblioteca dell'Istituto e inizio a leggerlo parallelamente a Il male che non c'è, l'ultimo romanzo di Giulia Caminito, autrice che apprezzo molto, uscito a settembre, procuratomi rocambolescamente durante le abbondanti 72 ore di permanenza in Piemonte in occasione del matrimonio di mia sorella.
Mentre tento di leggere due libri con lo stesso ritmo in momenti della giornata che non ho e portandomeli ostinatamente dietro entrambi, sporcandoli di sabbia dei giardini, unto dei pasti e saliva da abbiocco incontrastabile alle novedisera, a un certo punto realizzo che obiettivamente, umanamente, mi è impossibile andare avanti con entrambi e abbandono Claudia, che comunque conosco in persona: smezziamo una bottiglia di buon vino rossoungherese, facciamo una passeggiata umidiccia di fronte al Parlamento, le consiglio mille caffetterie, cartolerie e negozi vintage e vado a letto serena che non per forza devo aver letto tutto ciò che è stato scritto in Italia negli ultimi 10 anni se voglio fare questo lavoro.
Accantono anche Giulia che parla di ipocondria e quindi va un attimo digerito; adesso non ne ho il tempo perché devo preparare gli incontri della Settimana della Lingua, si è rotto lo specchio del bagno, non trovo più una delle mie pantofole preferite, entrambi i bambini hanno la tosse, Azzurra è a casa da scuola per una settimana per via dell'autumn break, devo organizzare i turni delle baby sitter e intanto comprare un microfono che mi servirà per un evento speciale a Novembre (stay tuned, come direbbe il mio caro marito!).
Un po' sopraffatta, mi trascino e indugio davanti alla mia libreria con le occhiaie e i capelli ovviamente sporchi e recupero McGlue della mia Ottessa Moshfegh: è breve e i bambini sono andati a dormire prima delle nove, sono sola a casa. Mi c'immergo, ne leggo un bel po' ma non mi strabilia. Mannaggia, Ottessa. Non l'avrei detto! Ho parlato di te l'altro ieri persino con Claudia (Durastanti). Il libro è molto rosso, lo poso sopra Caminito che è sopra Durastanti (anch'esso molto rosso): spendo un secondo per valutare l'accostamento cromatico abbastanza invadente.
Torno alla libreria e recupero 25, il secondo romanzo di Bernardo Zannoni che ha scritto il mio libro rivelazione degli ultimi anni: I miei stupidi intenti, prima timida epica puntata di Librini. Premio Campiello 2022. 80.000 copie vendute. Non è piaciuto solo a me, evidentemente.
Lo apro colma di aspettative, il che non va mai bene, ma tant'è. Ne leggo sì e no 7 pagine e poi, come troppo spesso accade, al termine di infinite giornate quando sovrumani silenzi e profondissima quiete giungono e s'annega il pensier mio tra questa immensità, m'addormento sul divano e il naufragar m'è dolce sino alla prossima sveglia.
In tanto trambusto, so che mi starò di certo dimenticando qualcosa: Sveva, cosa ti stai dimenticando? I vaccini ai bambini, la tintoria, il pesce che scade nel frigo. No, dev'essere qualcos'altro. Apro WhatsApp e controllo la chat che ho con me stessa dove mi mando messaggi telegrafici e imperativi di cose da fare, da non dimenticare, tendenzialmente urgenti. La chat funziona meglio delle liste nelle note sul telefono, dei post-it volanti e delle sveglie. Quando faccio una cosa, poi cancello il messaggio e via, libero fisicamente lo spazio della conversazione con me stessa, alleggerisco metaforicamente la mia mente: mi faccio favori. Avere una chat con me stessa è per me la nuova frontiera dell'organizzazione. Anche quest'idea è di Sara, quella degli Excel e della sempre famosa puntata #29 della newsletter; auguro a tutte un'amica così.
Insomma, mentre metto cuori a messaggi su Instagram che dal Perù mi dicono ti aspettiamo con brama, mi rendo conto di essermi mandata un messaggio perentorio che avvisa così: "calcola cuore nero". Dove quel verbo tanto asettico e preciso che ha davvero poco a che vedere con me, mi intima di ricordarmi che fra tutti i miei girovagare letterari a un certo punto dovrò anche calcolare quanti giorni ipoteticamente mi possono servire per la lettura di Silvia Avallone perché il suo Cuore nero è il libro in programma per l'appuntamento di Ottobre del Club del Libro dell'Istituto Italiano di Cultura di Budapest.
È così che, in molti meno giorni del previsto e rubando ore ovunque, portandomi la copia di Cuore nero di mia Mamma dappertutto, spesso a vuoto, e accendendo luci intense attorno a me per non addormentarmi la sera, ho letto in un fiato e mezzo questo splendido e appassionante romanzo, in cui scure e appiccicose come la pece due solitudini s'incontrano per redimersi e ripulirsi, in qualche modo.
Silvia Avallone tiene appesi per più di 300 pagine i lettori che vogliono sapere perché Emilia è così drammaticamente irrisolta e persa e di quale colpa si sia mai potuta macchiare quando era solo una ragazzina. Quando inizia il romanzo, è una donna di trent'anni nascosti sotto un abbigliamento adolescenziale ma si capisce subito non si tratti di una posa bensì di uno strappo. Riccardo, suo padre, la sta accompagnando a Sassaia, in montagna, dove non c'è nulla, soprattutto non c'è nessuno: una manciata di ricordi in una casa polverosa, qualche pastore. Un luogo sufficientemente gelido e lontano per poter provare a ricominciare o dove poter continuare a nascondersi. Un ambiente favorevole all'isolamento dove anche Bruno ha scelto di scappare, rinchiudersi e continuare a distruggersi, spegnendo il cellulare e lasciandosi crescere la barba di un orso.
Emilia e Bruno s'incontrano e s'innamorano subito, senza dirsi niente; proprio perché non si dicono niente.
p. 60
Quella sera non ci dicemmo niente. Qualsiasi parola sarebbe stata impossibile per entrambi, mentre stordirci l'una contro il corpo dell'altro, e poi l'uno dentro l'altra, era quasi una liberazione. Sentivo tutta la mia solitudine e la sua solitudine che si aggrappavano e si annientavano a vicenda su quella piazza e mezza che sapeva di chiuso, di bosco, di ricordi. L'unico bagliore acceso tra le montagne.
Era la cosa che lei voleva di più da anni: scopare con un uomo. E io con una donna provando un sentimento. Ci eravamo capitati. Lei lo avrebbe fatto con chiunque avesse abitato di fronte. E io con qualunque ragazza fosse venuta a morire dove mi ero sepolto.
Però adesso eravamo vivi. E io ero innamorato di lei senza sapere niente. E se avessi continuato a non sapere, la vita sarebbe stata un luogo perfetto. Come quella notte.
Emilia è pazza e schiva, Bruno è pacato e cupo. Insieme a loro a Sassaia vive anche Basilio, e poi basta: anche lui un relitto della società, diventa l'opportunità per Emilia di restare e cominciare a fare qualcosa di buono, accompagnandolo a restaurare la Madonna Nera di una chiesa che anche Dio ha dimenticato. Riparando qualcosa e attraverso il rapporto con Bruno, immersi nel silenzio dei boschi e il gelo delle montagne, Emilia, fra alti e bassi, si dà una nuova possibilità. E ricorda a Bruno che anche lui ha diritto a farlo.
p. 335
E che differenza c'era tra me e lei? Nessuna.
Eravamo due esseri umani. Quello che lei aveva compiuto, avrei potuto compierlo io, era una possibilità che tutti avevamo nel corpo e in quello che c'era dentro: l'anima? L'abisso?
Incapace di dormire, ascoltai a lungo il rumore del bosco, degli uccelli, del mondo che si risvegliava commovente, bellissimo, e ricominciava dopo l'inverno. Di colpo mi accorsi di quanto tutto, tutto il bene contenuto in noi e nella materia, fosse precario e meraviglioso, degno di cura a qualsiasi costo.
Allora cos'era il male?
Il non saper perdonare.
Cuore nero è fittissimo di dolore e nefandezze e tristezza e disgrazie, senso di abbandono, ingiustizie, gesti indicibili e inconcepibili eppure è attraverso una penna sapiente che costruisce una storia con una suspence perfetta che si muove tantissima vita.
Emilia è la ragazza sbagliata per eccellenza tuttavia il suo esserne consapevole e la sua inadeguatezza al mondo che è andato avanti mentre lei era in pausa ce la rende un personaggio dolce e accattivante, non solo controverso. Bruno, d'altra parte, il coprotagonista di questa storia che racconta in prima persona, è un uomo buono, invecchiato presto perché al confino da tutto, un esilio auto inflittosi per paura di andare avanti e scoprire di poter essere qualcosa più di un orfano. Calmo, solido e teneramente un po' goffo è uno dei personaggi maschili più belli letti ultimamente, insieme al Marx della Zevin in Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow.
Bruno è ben accompagnato: Riccardo e Basilio sono altri uomini concreti e stabili, attori che ruotano attorno alla coppia protagonista insieme ad altre figure femminili bellissime come quella di Marta.
Tanto vale leggerlo, questo romanzo: anche se si teme di rimanerci male, di sentirsi un po' violati. Ma è una grazia il percorso catartico che la Avallone ci fa compiere, faticando con i suoi personaggi contro l'annichilimento, al freddo di una cella o di una mulattiera.
Come spesso dico ai miei amici del Club del Libro, io non sto mai bene attenta alla trama, non mi ricordo molti passaggi, forse mi perdo anche degli aspetti fondamentali delle storie. È che per me è sempre più importante come vengono dette le cose in un libro piuttosto del cosa è raccontato. La trama non mi sembra quasi mai fondamentale, non scelgo o ricordo un romanzo per questo. Ciò che mi segna è l'atmosfera in cui l'autore sa calarmi grazie all'uso che fa della lingua; questa è la magia dei libri e della scrittura. Silvia Avallone sa fare una cosa rara ovvero usare un linguaggio potente, poetico, visionario e chirurgico a servizio di una trama impeccabile in cui la storia, i personaggi con la loro evoluzione, la tensione emotiva e narrativa sono calibrati come da manuale. Il risultato è un'opera avvincente e profonda, scritta con cura e sentimento.
Adesso è inutile che dica che leggerò qualsiasi altra cosa abbia mai scritto e mai scriverà Silvia Avallone.
Tanti temi più e meno evidenti attraversano le pagine di Cuore Nero: solitudine, punizione, carceri minorili, la cultura come salvezza e redenzione, adolescenza, disagio giovanile, restare orfani, morte, omicidio, paura, scappare, restare, resistere, ritentare, amare. Non vedo l'ora di esplorarli tutti o quasi con i partecipanti al Club del Libro, la prossima settimana.
Nel frattempo, sottolineo che Sassaia esiste davvero e, così raccontata dalla Avallone, fa proprio venir voglia di farci un salto: camicia di pile, scarpe comode, qualche buon libro, candele, vino, cioccolato e niente internet. Un posto che persino una come me, che non sente il richiamo della montagna, andrebbe volentieri a vistare per immergersi nel silenzio di quella natura che regala una libertà lenta e lunga che non siamo più abituati a pensare possa esistere.
p. 51
"Ora ti sembrerà impossibile. Ma io ti garantisco che tutto passa. E, se non può passare, cambia".






